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  • Nadir Dal Grande

Cosa fa lo scenografo? Nadir Dal Grande ce lo racconta.

Cercando sul dizionario la definizione tecnica di "scenografo" si leggerà qualcosa di simile a questo:


''Chi progetta, disegna, e talvolta realizza anche materialmente gli allestimenti scenici di uno spettacolo teatrale, cinematografico o televisivo.'' [Treccani]


Utilizzando la stessa fonte, cercando la parola "scenografia", troveremo:

"[...] insieme degli elementi dipinti che costituiscono una scena; […] anche gli elementi costruiti (praticabili, costruzioni), o ottenuti mediante proiezioni (effetti), che concorrono a formarla." [Treccani]


Bozzetto per "Tre storie in una stanza". Realizzato a mano, tecnica collage.



Ma cosa fa effettivamente uno scenografo?

Lo scenografo in primo luogo dialoga con il regista e cerca di comprendere l'idea dello spettacolo. Spesso si affida a un testo, lo analizza e svolge molteplici ricerche prima di iniziare la fase di progettazione.

Quest'ultima consiste nella ricerca di tutti quegli elementi che diventeranno funzionali per la "messa in scena", pertanto si cerca un'idea che sia in armonia con tutti gli altri ingredienti che la compongono [regia/coreografia, drammaturgia, costume, luci, suono,...] sia dal punto di vista concettuale che visivo.


Lo scenografo rende "reale" ciò che inizialmente appartiene solo alla fantasia e ci riesce trovando le soluzioni più efficaci, pensando alla forma, alla disposizione, all'aspetto, alla funzione, e naturalmente anche alla realizzabilità di tutti gli elementi che diventeranno "la scena" considerando anche il budget disponibile.


Il mestiere dello scenografo, dal mio punto di vista, è distante dall'essere la semplice applicazione tecnica di nozioni.

Secondo me, la scenografia deve rispondere al requisito di essere uno spazio dell'anima, non un semplice sfondo più o meno gradevole all'occhio di chi assiste.

Deve diventare un prolungamento dei personaggi che la abitano (attori/cantanti/danzatori) e collaborare con loro per raccontare qualcosa di profondo, un messaggio, un'emozione o una sensazione, che a mio avviso è lo scopo di uno spettacolo.


La verità è che una scenografia, anche se bellissima, senza personaggi è disabitata, senza luce è buia, senza suoni è muta, senza tutto questo è uno spazio morto e inutile, ma con tutti questi elementi diventa vita pulsante davanti ai nostri occhi.


Modellino in scala per "Così fan tutte" di Mozart e Da Ponte


Lo spazio dell'anima non resta immobile e immutabile, ma cambia, dialoga, si muove, interviene quasi come un personaggio con una sua coscienza, e ci racconta qualcosa di fondamentale (che solo uno spettatore attento potrà cogliere).


Con la scenografia io posso mostrare la passione segreta di un personaggio, posso raccontare il turbamento interiore di una situazione, sempre cercando di far intendere qualcosa di vero rispetto alla nostra quotidianità.


Tutto ciò che fa parte dell'arte del teatro non si rivolge mai al passato se non per riportarci all'oggi. Lo spettacolo vive sempre nel presente.

Nel tentativo di realizzare in questo senso una ''buona scenografia'', lo scenografo deve realmente mettersi in ascolto con chi lavora alla realizzazione dello spettacolo.

E' importante il costante contatto con regista/coreografo, costumisti, tecnici luci ecc.


Bisogna anche tener presente che la scenografia non è la protagonista dello spettacolo e che non ne deve in alcun modo limitarne le potenzialità. Si tratta solo di uno degli ingredienti e, in questo senso, è necessaria molta umiltà.


La ricerca di un "segno" (inteso come sfumatura unica che appartiene solo a quello spettacolo) sul quale far ruotare tutto il progetto richiede tantissimo lavoro sul testo, sulla musica, sul senso del progetto.

Trovarlo è quasi un rebus che personalmente mi appassiona (la trovo una delle parti più interessanti del mio lavoro).

Quando lo trovo, sento di aver fatto un buon lavoro, una buona scenografia, anche a dispetto delle critiche.


Credo che questa sia la parte più considerevole per chi progetta buone scenografie, e che, tutto ciò che viene in seguito, è puramente un fatto tecnico-estetico, ma certamente necessario alla realizzazione. A sua volta richiede tantissimo lavoro (realizzare bozzetti grafici, modellini tridimensionali, tecnici, capitolati ecc).


"Don Giovanni" schizzo di studio


Una delle difficoltà comuni dello scenografo è riuscire a rapportarsi con linguaggi differenti.

Registi e coreografi avanzano suggestioni, immagini, cercano raccontare la loro "visione". La difficoltà iniziale è riuscire a comprendere cosa intende l'altro.

Le parole sono evocative ma sono anche interpretabili in base alla sensibilità di ciascuno.


Non è facile mostrare un mondo che ancora non esiste. Ecco perché le prime proposte sono sempre dei tentativi per capire la direzione, se si è vicini a quel che si intendeva, o se al contrario si è diametralmente dalla parte opposta.


Un bozzetto, per quanto foto-realistico risulterà sempre un immagine bidimensionale, che certo stimola dal punto di vista creativo, ma che non chiarifica davvero fino in fondo com' è fatto lo spazio.

Registi e coreografi hanno bisogno di "essere nello spazio" per capire finalmente cosa intendeva lo scenografo.


Per questo motivo io cerco di lavorare moltissimo con un modellino dello spazio che ho progettato, in modo tale da proporre l'idea in maniera concreta e materiale, accompagnato dal bozzetto, che tenta di restituire il sapore della scena, con luci, texture, azioni in corso...


Per uno scenografo, lavorare con un regista è sicuramente più semplice che affiancarsi a un coreografo, perchè entrambi si affidano a un testo (drammaturgia).


Con il coreografo è diverso. In un certo senso il coreografo vede i corpi dei suoi danzatori come se fossero già una scenografia, insieme formano già uno spazio completo e tutto il resto rischia sempre di essere preso come un elemento funzionale ma di disturbo.

Il modo di ragionare dei coreografi è una perfetta fusione tra l'effimero del gesto astratto e la concretezza materiale del corpo.


Di base una scenografia è sempre soggetta a degli aggiustamenti, a delle modifiche anche sostanziose nel corso delle prove, ma nel lavoro con un coreografo lo spazio accuratamente progettato viene quasi sempre stravolto. Diventa tutto estremamente fluido in base alle necessità. I corpi sono sempre in movimento e se non trovano spazio allora se lo creano, come l'acqua.


Lo scenografo deve essere pronto ad accogliere questa metamorfosi del suo spazio quando lavora con un coreografo, anche mettendo da parte un'idea di armonia compositiva degli elementi. La bellezza risiede nel fatto che in una coreografia realmente lo spazio viene vissuto, praticato, agito sotto tutti i punti di vista. I danzatori sono abituati a sperimentare le possibilità della scena che gli viene proposta nelle maniere più impensabili.

E' in questi momenti che lo scenografo deve essere pronto a cogliere il modo in cui verrà usato il suo spazio, per raffinarlo, sistemarlo, renderlo ancora più duttile alle intenzioni del coreografo, ancora più metamorfico e ricco di potenzialità.

Un esempio di questo che mi rimarrà sempre impresso, fu in occasione di un progetto scritto da me e dalla coreografa Elisa Calabretta, Il Famiglio. Una delle scene consisteva in un imponente coreografia all'interno del salone principale di questa bellissima villa veneta. La scena consisteva in un vero e proprio risveglio della villa, operato da delle donne-danzatrici che attraversando il salone, andavano a rimuovere le lenzuola bianche che coprivano il mobilio distribuito nella sala. La scena dal punto di vista concettuale funzionava bene, ma lo spazio era inconciliabile con le esigenze della coreografia, pertanto ogni elemento venne drasticamente spostato sulla base delle linee invisibili che solo la coreografa poteva vedere. Dovetti ridisegnare tutto, ma a quel punto la scena era diventata funzionale e poteva davvero essere vissuta come speravo.



In conclusione sento di dover dire che la bellezza di essere uno scenografo risiede nel vedere come lo spazio pensato prenda forma e venga letteralmente messo in vita.

Lo spettacolo appare quindi un evento eccezionale dove ogni cosa è possibile.


Mi piace partire sempre dal foglio bianco e non sapere come verrà riempito.

Meravigliarmi nel vedere come un'idea si trasforma, e infine trovarmi davanti a qualcosa che è il prodotto di mesi e mesi di lavoro.

Dedicarmi a scrivere pagine e pagine di pensieri per trovare quello che potrebbe essere il più corretto.


Disegnare ininterrottamente sulla carta senza mai cancellare, perché anche i disegni ''sbagliati'' aiutano a capire in che direzione andare.

Mettersi nella condizione di essere al servizio e non al comando di un lavoro.


Essere pronto a trovare delle soluzioni senza accontentarsi dell'immediatezza. Muoversi lentamente quando tutto il resto del mondo ti dice di correre. Curare la leggera sfumatura che cambia, il suono silenzioso che s'inserisce, i corpi che si muovono con un tempo proprio.


Tutto concorre a dare vita allo spazio dell'anima, la buona scenografia, che spero di saper sempre disegnare.

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