Mi presento ufficialmente: sono Elisa Calabretta, il volto nascosto dietro ad Asimmetria.
Asimmetria nasce da una passione nata 23 anni fa, quando per la prima volta entrai in una scuola di danza.
Valutai diversi corsi e insegnanti prima di sorriderle davvero.
Quando successe, però, me ne innamorai perdutamente.
Ricordo sempre con piacere la bambina che sono stata: piena di energia, con qualche lacrima sempre in tasca e con una coda bionda lunghissima che rimbalzava a ritmo di musica.
Da bambina la danza era felicità; crescendo ha cambiato forma, aspetto e si è trasformata in compagna di vita in tutte le sue stagioni.
Ho danzato ogni emozione (positiva o negativa che fosse) scoprendo che la danza poteva essere la medicina alla tristezza. Musica, occhi chiusi, un respiro profondo, il corpo cominciava a muoversi: io tornavo felice.
Danzare non è mai stata una scelta: è stato un impulso, i muscoli sempre protesi al movimento, un riflesso naturale agli eventi della vita.
La vera scelta è stata quella di studiare ore e ore, di rinunciare a molte cose, di raggiungere compromessi, di attraversare la fatica per inseguire quello che chiamavo "sogno".
Poi, nel tentativo esasperato di correre verso quel sogno sono scivolata.
Anoressia. Una parola che ancora mi mette i brividi.
Amore, odio, rifiuto per quei passi così lontani che non potevo neanche più abbozzare.
Per poter guarire ho dovuto abbandonare il mio sogno sulla strada, almeno per un po'. Portavo quell'amore perduto come un lutto.
Nel periodo di "stop" ho continuato a danzare nella testa (senza davvero esserne conscia), una testa che forse aveva solo bisogno di fermarsi per ricominciare.
Ci sono voluti diversi anni per tornare ad abbracciarla, con più forza e con più amore. In qualche modo "avevamo fatto di nuovo pace".
In quel lungo viaggio ho imparato molte cose su di me, sulla danza e su noi due insieme: io trasformo lei e lei me.
Ho smesso di cercare e ho trovato soluzioni.
Volevo danzare ma non essere malata.
Ho anche cercato invano di sostituirla. Ho cambiato diversi lavori ma non restavo mai a lungo: lo stipendio, gli orari d'ufficio e la tranquillità di un posto fisso non riuscivano a colmare quel sogno mancato e io avevo imparato bene il prezzo della vita e della felicità.
Lasciare quella stabilità è stato un salto nel vuoto (ma io amo saltare del resto!). Il salto incerto più bello della mia vita: rischiare tutto perchè quel sogno non restasse, ancora una volta, in un cassetto.
A volte serve un po' di coraggio e un po' di follia: esisterà sempre una scusa valida per "non rischiare", se dovessimo vagliare tutti i "contro" resteremmo sempre fermi, esattamente dove siamo. In cuor mio sapevo (o forse solo speravo) di farcela. E l'ho fatto con l'aiuto delle persone che credevano in me.
Negli anni a seguire ho ricominciato dapprima a danzare come allieva e in seguito ad insegnare. Potrebbe sembrare una seconda scelta e per un periodo lo fu: io volevo fare la danzatrice.
Ma fui sorpresa nel constatare che "il destino ha molta più fantasia di me" (come spesso ho sentito dire).
Insegnando ho imparato molto. Non solo a rapportarmi tecnicamente al mio lavoro ma ho imparato a conoscermi e ri-conoscermi. I miei allievi sono stati i miei Maestri in questo. Mi piace sapere che senza di loro non sarebbe possibile ciò che faccio ogni giorno.
I limiti che vedevo come danzatrice erano diventati stimoli; ostacoli da superare, non da aggirare con fatica. Non era più necessario essere perfetta. Era necessario saper raccontare, andare in profondità. Aiutare gli allievi, scavare oltre la forma. Probabilmente la stessa con cui mi ero intrappolata con le mie mani anni prima.
Avevo cambiato rotta. Ero (e sono tutt'oggi) affascinata da quello scambio profondo che si avvera ogni volta che entro in sala danza.
Uno scambio che ha più a che fare con le persone che con la disciplina. Un'influenza caleidoscopica tra danza, insegnante e allievo.
Non ho mai smesso di danzare e credo che mai lo farò ma questo percorso ha portato con sè un nuovo ingrediente: vedere realizzati tutti i passi che fino ad allora avevo solo immaginato. Quelle immagini fugaci che hanno a che fare con la creatività e che evolvono insieme al danzatore che le realizza. Ma nella mia testa quel danzatore/danzatrice molto spesso non ero io.
Il piacere di guardare una coreografia è immenso: lo è nella misura in cui non è un atto egoistico ma attinge ad un percorso condiviso. Racchiude in sè un viaggio.
Ripensando al passato mi rassicura non dover più provare costantemente quell'ansia da prestazione (ma credo che questo appartenga più al "diventare grandi" e al "cambiare priorità": un tempo amavo l'adrenalina mista all'ansia dietro le quinte, era linfa vitale per me).
Mi sono scontrata poi con una nuova esigenza sopraggiunta gradualmente ma esplosa in maniera incontrollabile.
Ho insegnato per anni discipline diverse ma mi apparivano come reparti stagni. La didattica prevede l'insegnamento di determinati elementi che in maniera forzata restano incontaminati (soprattutto quando si lavora con i bambini che hanno bisogno di uno schema solido e preciso per poter apprendere "le basi").
Il mio background con una particolare insofferenza allo schema classico chiedeva un'integrazione.
Stare nello schema è risultato quasi impossibile per me, se non per formalità.
Cosa potevamo scoprire usando quello schema e provando a romperlo?
Ho cominciato il mio percorso di ricerca.
Una ricerca che andava al di là della forma.
Non erano nozioni esatte consolidate negli anni. Erano esperimenti di cui l'esito avrebbe confermato o meno un'intuizione.
Si dice "sbagliando s'impara" e io credo anche "sperimentando s'impara".
L'errore non è motivo di mortificazione ma pone domande e cerca risposte. Un continuo procedere e trasformarsi.
Questo modo di approcciarmi al lavoro è stato alimentato da diverse esperienze che ho fatto negli anni come danzatrice. Credo che comprendere il proprio posto nel mondo sia qualcosa di rassicurante, un abbraccio caldo. Sentire che "questa è la mia strada" è il primo passo stabile per procedere e rischiare (anche se resto aperta alle novità). A volte la vita ci obbliga a cambiare sentiero semplicemente per portarci a crescere.
Ho iniziato a trascrivere su un quaderno tutti i progetti che avrei voluto realizzare (più o meno sensati), quelli che di notte apparivano come lampi e andavano intrappolati su carta per non farli scivolare via.
E poi sono diventata insofferente. "Stare" non era più un aggettivo gradevole. Avevo bisogno di procedere.
Ho covato quest'idea per anni, un crescendo diviso tra "esigenza di scoprire" e insicurezza (avevo ancora molto da imparare). Un limbo esigente che mi domandava di scegliere.
E poi ho sentito più forte quella voglia di andare, di realizzare, di crescere.
Gli eventi della vita, con l'aiuto dei miei genitori, mi hanno dato il coraggio e l'opportunità che aspettavo. "Ora o mai più". Ancora una volta dovevo rischiare.
E quel rischio l'ho accolto con le braccia aperte e il cuore colmo di felicità. Si stava aprendo una nuova fase della mia vita piena di responsabilità e nuove consapevolezze: significava definitivamente "diventare adulta".
Ha portato con sè anche tristezza. A volte, per procedere, dobbiamo abbandonare un pezzo di cuore da qualche parte e così è stato anche per me. Quel distacco da ciò che fino ad allora era stata la mia quotidianità mi ha fatto perdere l'equilibrio. Consapevole che quell'esperienza sarebbe rimasta parte di me insieme a tutti gli allievi che negli anni avevo visto crescere.
Dovevo pensare ad un nome prima di tutto: non volevo fosse "Scuola di danza..." e tanto meno volevo darle il mio nome. Volevo solo rappresentasse il mio percorso e la mia idea di danza e ricerca.
Poteva bastare la danza? Volevo tentare di darle voce: ho scelto di inserire il teatro.
Quale parola meglio si addice a tutto questo? Asimmetria (decisamente in contrapposizione con l'idea canonica di danza).
Vi racconterò presto, in un articolo, il significato completo del logo!
Nome strano per una scuola ma perfettamente aderente a me e alla mia idea:
"Tutto quello che impari dentro uno schema è ciò che ti servirà per romperlo".
Non saprò mai descrivere la felicità del 19 Febbraio 2020 quando Asimmetria, sulla carta è diventata realtà.
Ma...non è mai tutto "rose e fiori": è arrivato il covid-19.
Asimmetria è rimasta "in costruzione" mentre mamma e papà lottavano contro questo nuovo mostro con fatica.
E poi la guarigione e la rinascita. Una rinascita che ha fatto riaffiorare forte in me una consapevolezza: la vita è davvero un dono prezioso (anche se sembra una frase fatta) ed è nostro diritto e, dal mio punto di vista, anche un dovere verso noi stessi cercare di realizzare i propri sogni. Respirare a pieni polmoni, almeno tentare.
Abbiamo ripreso i lavori e in pochi mesi Asimmetria è diventata reale.
Il 20 Luglio, senza inaugurarla, ha preso vita e tutta la fatica degli anni tortuosi passati ha assunto un senso: bello, leggero, vivo.
La mia seconda rinascita. Ero felice e basta. Ho pianto molto di gioia. Mi ero finalmente "ricompattata". Tutte le parti di me guardavano nella stessa direzione.
E poi la chiusura che ha portato con sè un po' di tristezza ma che non mi ha impedito di insistere e prendermene cura.
Asimmetria per me non è solo un luogo. Asimmetria è gli occhi di chi la vive, è la sera quando spengo le luci della sala e lei resta lì pronta con nuovi passi invisibili da danzare.
Asimmetria è accogliere i "fermi", le resistenze, la gioia e le persone. Asimmetria è un sogno che ora posso chiamare realtà.
Far vivere le idee, poterle realizzare. Uscire dallo schema, cercare, cercare, cercare.
La danza ed il teatro sono i mezzi per condividere tutto questo.
"Integrazione" è la parola chiave di questa realtà, quella che ogni giorno, nonostante tutto, cerco di portare avanti insieme ai miei insegnanti e a tutte quelle persone che mi aiutano costantemente a farla funzionare.
Asimmetria è il risultato di un percorso in cui ho danzato e ho vissuto.
Non mi sento "arrivata" benché sia un grosso traguardo.
Per me è solo l'inizio di un nuovo viaggio da fare insieme.
Grazie a tutti coloro che la fanno vivere e danzare e che assecondano le mie idee anche se appaiono spesso "folli".
Grazie ai miei genitori che mi aiutano ogni giorno a superare le difficoltà che incontro, alla mia famiglia, agli insegnanti che sostengono Asimmetria in ogni sua forma, agli allievi, ai miei amici e a Nadir che mi supportano e sopportano (Chiara in particolar modo) e a tutti i collaboratori.
Un grazie in particolare va a Valerio, un nonno per me, che sarebbe contento di vedere il mio sogno realtà.
Leggi anche come è nato il logo di Asimmetria!
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