Negli ultimi giorni, dopo avervelo consigliato nell'articolo “5 libri sulla danza: consigli per aspiranti ballerini", ho avuto piacere di rileggere “La saggezza del danzatore” di Dominique Dupuy.
La sua riflessione che vi trascrivo, ha attratto la mia attenzione portandomi a cercare una risposta concreta e significativa alla domanda "perchè non vediamo sul palcoscenico i danzatori anziani?" e a pormi numerose domande (chissà se qualche ex danzatore avrà il piacere di risponde a questo articolo).
...“Raggiungere questo sommo – questo alto livello – ( riferito agli attori che, con l'avanzare dell'età, cambiano ruolo e continuano a vivere della loro arte) è un piacere raro, intenso e delizioso, una qualificazione alla quale il danzatore, privato com'è del danzare in vecchiaia, non ha accesso. E' un peccato per lui, certo; ma lo è anche per gli altri: per il pubblico che non ha mai il diritto di vedere un danzatore nella tarda età, privato così di una parte importante e sconosciuta della danza. L'immagine della giovinezza incollata al danzatore è così forte, così pregnante, che l'idea stessa di un danzatore vecchio non viene neppure in mente. E' inconcepibile. Non lo si vede: non lo si è mai visto. E' come un'insania. Si avrebbe voglia di vederlo? E' una domanda che ci si può porre ma che non ha risposta possibile, perchè praticamente la cosa non esiste; è un'eccezione, un epifenomeno di cui si parla come di una bestia curiosa, come il ritrovamento di un fossile preistorico o l'arenamento di un enorme cetaceo sulla sabbia di una spiaggia bretone. “
Effettivamente veneriamo i grandi nomi del balletto come Carla Fracci, Rudol'f Nureev, Nizinskij per la loro indelebile traccia nel mondo della danza, nel fiore delle loro potenzialità.
Ma cosa è rimasto della loro danza?
Molti di loro, quasi come passaggio obbligato, sono diventati Insegnanti, e nel loro caso, veri e propri Maestri. Indubbiamente hanno trasmesso un bagaglio importante a milioni di danzatori.
Ma nel loro salotto avranno continuato a danzare? Le loro mani sfioreranno ancora l'aria sulle note di quella melodia danzata 100 volte o il loro occhi si chiuderanno per raccontare un ricordo? Avranno amato il loro corpo più fragile negli anni o lo avranno quasi odiato per le sue mancanze di equilibrio, stabilità, elasticità?
Vorrei aprire questa domanda a loro. Vorrei chiedere a questi danzatori - che sì, io avrei il piacere di guardare ancora- perchè si sono ritirati dalla scena. Se è il loro corpo nuovo che non vogliono mostrare, se gli è stato imposto (come molte testimonianze affermano, perchè la carriera di un danzatore termina a circa 40 anni) o se è il rispetto per un'arte che dentro di loro ha fatto il suo corso e che ha lasciato una risacca di amore perpetua, inesauribile ma calma e si nutrono di quella.
Forse siamo stati troppi legati alla bellezza, alla perfezione, all'armonia e oggi viviamo in un mondo fatto di immagini veloci dove le cose che contano sembrano fermarsi alla finzione, all'irrealtà, senza naturalezza. Brevi stories, video e tanti “like”.
Ma ha ragione Dupuy quando afferma che in un video “quel che costituisce il sale della danza non si deposita; la danza non si lascia catturare; scivola tra i corpi come il sapone tra le dita; non ha sede, ma cattura. E' perchè lo studio è il suo asilo, è là che si rifugia”.
Effettivamente l'emozione di essere seduti a teatro e di guardare, catturare la danza che si esaurisce nel momento stesso in cui si compie è impagabile e attraverso uno schermo, è difficile poter provare tanto stupore tutto insieme.
Ma cosa succederebbe se un corpo di un danzatore continuasse a ballare? Quali strade prenderebbe il movimento? E cosa ne sarebbe del corpo che ha in sé una memoria di virtuosismi e di tecnica?
Io credo che questa prospettiva apra la strada a una bellezza pura e autentica.
Un danzatore in un corpo nuovo che trascrive e riscrive i suoi gesti adattati al presente, come se gli si chiedesse di ascoltarsi di più, di eliminare il superfluo e di trattenere l'essenziale, un movimento lungo una vita, in evoluzione come la danza, perchè come scrive ancora Dominique Dupuy bisognerebbe vivere “L'età come percorso e non come incidente di percorso, un incidente tanto presentito da divenire quasi atteso, se non addirittura sperato”.
Ancora prima di rileggere questo testo ho immaginato tante volte una sala danza piena di Signore e Signori over 70 con i capelli bianchi, alla sbarra. Ma questo appariva a tutti una follia. Così ho abbassato il target d'età creando i corsi di danza +50 di Asimmetria.
In cuor mio, da sognatrice quale sono, spero ancora di avere una classe di danzatori dai capelli argento che hanno in sé tutta la vita vissuta come bagaglio per affrontare un corpo nuovo, instabile ma vivo ancora e ancora.
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